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CASSAZIONE: l’amministratore della società non sempre risponde degli illeciti commessi dall’amministratore di fatto

Lo Studio Legale Di Meo di Avellino offre servizi di consulenza legale a favore delle aziende, con riferimento a molteplici profili e questioni che possono interessare la vita e lo svolgimento dell’attività imprenditoriale. In questo quadro, le posizioni espresse, nell’ambito di diverse vicende, dall’Avv. Ferdinando G. Di Meo, in sede di tutela dei propri assistiti, trovano oggi un’autorevole conferma giurisprudenziale.

Frequentemente nella pratica accade che l’amministratore di diritto di una società, ossia colui che legittimamente riveste tale carica sociale, venga chiamato a rispondere di illeciti commessi da un amministratore di fatto, ossia, da taluno che si presenti od agisca di fronte ai terzi in nome e per conto della società, senza essere investito dei relativi poteri.

L’esperienza insegna che tali situazioni talvolta presentano profili discutibili, quanto ai reali rapporti tra amministratore di fatto e di diritto, coinvolgendo il tema delle c.d. “teste di legno”, che vengono utilizzate per celare il proprio ruolo, per le più svariate ragioni, ma soprattutto per far ricadere su altri, o, anche su altri, le responsabilità, anche penali.

Il tema è stato per altro frequentemente sottoposto all’attenzione della giurisprudenza, che pare aver assunto una posizione sufficientemente chiara, quanto meno con riferimento a quelle fattispecie nelle quali non si possa configurare un concorso nel reato tra le due figure, ossia l’amministratore di fatto e quello di diritto.

Da ultimo, Cassazione penale, sez. II, 23.01.2024 n. 2885, ha testualmente affermato: “va escluso che l’amministratore formale di una società debba rispondere automaticamente, per il solo fatto della carica rivestita, dei reati commessi da altri soggetti che abbiano operato nell’ambito dell’attività societaria, dovendosi verificare la sua compartecipazione materiale e morale al fatto, che potrebbe anche essere sfuggito alla sua cognizione”.

Ciò equivale a dire che è necessario che risultino pienamente provati il contributo causale della condotta dell’amministratore di diritto alla realizzazione del fatto e la sua cognizione del fatto illecito.

Risulta in tal modo preclusa la possibilità di affermare la sua responsabilità penale sulla base del semplicistico rilievo secondo il quale egli “non poteva non sapere”, al quale pure talvolta la giurisprudenza di merito ha dato credito.

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