In caso di separazione i messaggi whatsapp sono prove ma devono essere acquisiti legittimamente
I procedimenti di separazione e divorzio sono sempre complicati, ma il matrimonio, e, più in generale, i rapporti familiari, anche in caso di dissoluzione del rapporto affettivo, sono questioni che dovrebbero sempre essere affrontate con un adeguato grado di razionalità, anche in caso di forte conflittualità, a prescindente da quelle che possono esserne le ragioni, ed anche nel caso in cui non si riesca ad evitare la fase contenziosa.
In questa prospettiva, lo Studio legale Di Meo di Avellino tenta sempre di individuare soluzioni conciliative, che tuttavia non sempre sono perseguibili, primariamente, perché l’astio tra i coniugi può aver raggiunto livelli inconciliabili con un qualunque accordo, tanto da oscurare il lume della ragione.
Anche in questi casi, tuttavia, ragioni di decoro, ma, ancor prima, considerazioni di carattere sistematico, generalmente sconsigliano di assumere iniziative destinate ad avere implicazioni di carattere penale, promuovendo denunce, querele e simili, posto che azioni di tal fatta normalmente non apportano alcun contributo alla risoluzione della crisi familiare, ed anzi, generalmente, com’è intuitivo, la complicano in modo significativo, con infiniti, spiacevoli e complessi risvolti, non sempre integralmente prevedibili.
Un tema molto interessate, con il quale l’Avv. Ferdinando G. Di Meo, titolare dello Studio Legale Di Meo di Avellino, trova spesso a confrontarsi, per altro non solo in materia di famiglia, è quello dell’utilizzabilità dei messaggi whatsapp a fini probatori.
La questione è stata per altro ormai ripetutamente affrontata dalla giurisprudenza. Anche da ultimo si è chiarito che i “messaggi whatsApp sono considerati prove documentali, legittimamente acquisibili anche tramite riproduzione fotografica, come, ad esempio, gli screenshot delle chat. La validità dipende dalla possibilità di verificare la provenienza e l’affidabilità del contenuto”.
“I messaggi WhatsApp sono documenti elettronici che rappresentano atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti e, pur non essendo firmati, rientrano nel novero delle riproduzioni informatiche previste dall’articolo 2712 codice civile. Consegue che hanno piena efficacia probatoria sempre che la parte contro cui vengono prodotti non disconosca la conformità ai fatti rappresentati” [Cassazione civile, sez. II, 18.01.2025 n. 1254].
Affermazioni di questo tipo, tuttavia, devono essere valutate con prudenza. Occorre infatti ricordare, innanzi tutto, l’art. 191 c.p.p. secondo il quale “le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate. L’inutilizzabilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento”.
Non è invece prevista un’analoga norma nel codice di procedura civile, ma ciò non significa che il principio non abbia portata generale, e, quindi, anche nell’ambito delle questioni di natura civilista e nei relativi giudizi, se non altro in quanto quel principio é espressione di un diritto costituzionalmente garantito, ossia, il diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost.
In linea di principio, non pare sussistere alcun dubbio sull’utilizzabilità della messaggistica, whatsapp. ma anche via mail, quando l’interessato sia parte di quella corrispondenza, in quanto autore o destinatario. Naturalmente, resterà sempre salvo il potere di valutazione del giudice al riguardo.
Assolutamente diverso, invece, il caso in cui la corrispondenza in questione sia avvenuta tra altre persone.
Può così accedere, per esempio, che uno dei coniugi, mosso dalla necessità o volontà di procurasi dei mezzi di prova – classicamente, la prova di un’infedeltà – tenti di produrre dei messaggi o delle mail dell’altro coniuge scambiati con una terza persona, di cui sia entrato in possesso attraverso l’accesso abusivo ai dispostivi dell’altro coniuge stesso, come un computer o uno smartphone.
Ciò in effetti può accadere frequentemente, posto che spesso ciascuno dei coniugi ha la disponibilità – o anche solo la memoria – delle password di accesso ai dispositivi, mobili e non, dell’altro. Questo, tuttavia, non implica che egli le possa utilizzare abusivamente.
In effetti, già da tempo la giurisprudenza ha stabilito che “integra il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza di cui all’art. 616 c.p. la condotta di colui che prende cognizione del contenuto della corrispondenza telematica intercorsa tra la ex convivente e un terzo soggetto, conservata nell’archivio di posta elettronica della prima” [Cassazione civile, sez. III, 19.05.2017 n. 12603].
Ma anche molto più recentemente, si è ritenuto integrato il reato di cui all’art. 616 c.p., ovvero di violazione di corrispondenza, nella condotta di un soggetto che aveva estratto comunicazioni intercorrenti via whatsapp tra la moglie ed un terzo, per poi depositarle in un procedimento civile pendente dinanzi al Tribunale [Cassazione civile, sez. II, 06.02.2025, n. 3025].
In questa occasione la Suprema Corte ha anche specificato che la condotta del marito che aveva sottratto la corrispondenza, non poteva essere scusata neanche dalla giusta causa di cui all’art. 616 comma 2 c.p., posto che il giudice, ex art. 210 c.p.c., può ordinare, d’ufficio o su istanza di parte, al coniuge o al terzo, l’esibizione della documentazione di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo, al fine di assicurare la legittimità della formazione della prova.
Questi principi sono stati da ultimo ribaditi con una sentenza della Corte di Cassazione del 5 giugno 2025. Anche in questo caso, infatti, il marito aveva estratto le conversazioni dal telefono della moglie per utilizzarle all’interno di una causa di separazione. La Suprema Corte ha tuttavia confermato che questo comportamento configura due reati, ossia, l’accesso abusivo a sistema informatico [art. 615 ter c.p.] e la violazione di corrispondenza [art. 616 c.p.].
CONCLUSIONI
E’ sempre preferibile evitare di trascinare i conflitti familiari davanti al giudice penale, soprattutto in presenza di figli, ancor più se minori. Ma, in ogni caso, anche nella gestione del contenzioso civile in materia familiare, non tutto è lecito.
Il diritto di difesa deve essere esercitato nel rispetto delle norme, sia processuali che penali.
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